L’estate è finita e le bancarelle se ne sono andate. Ancora non piove abbastanza da giustificare un innalzamento del livello delle acque ma da un paio di giorni i cittadini romani abituati a percorrere quotidianamente la ciclabile Tevere si trovano a dover affrontare un’altra bella novità. La banchina è chiusa da Ponte Sublicio (porta portese) fino al Ponte dell’Industria (Ostiense). Ci sono delle transenne ed un foglio che riporta un ordinativo del 22 luglio 2014 che annuncia lavori di “Manutenzione ordinaria, sorveglianza e pronto intervento delle opere d’arte di rilievo (ponti, galleria, sottovia, cavalcavia ecc)”. I lavori teoricamente iniziati il primo aprile 2014 dovrebbero terminare il 31 marzo 2015.
Nessuna indicazione di orari in cui il tratto di banchina sia effettivamente chiuso e soprattutto nessun percorso alternativo consigliato per chi deve transitare in bicicletta o a piedi. Insomma arrangiatevi!
Commenti disabilitati su Alla fine ci riprendiamo le strade
Sono giunto ormai alla ferma convinzione che la convivenza tra i cittadini che si spostano in bicicletta e le bancarelle dell’Estate romana sia impossibile.
E’ quasi un anno che percorro più volte durante la settimana la pista ciclabile del Tevere da Castel Sant’Angelo a Ponte Sublicio ed anche oltre. Ho sperimentato le difficoltà del periodo invernale quando la banchina che ospita la pista è quasi sempre impraticabile perché sommersa d’acqua oppure per via del fango e dei detriti lasciati dalle piene.
Poi è arrivato maggio ed è iniziato l’allestimento delle bancarelle. Gradualmente sulla banchina del Tevere è nato un mercatino ed è aumentato il via vai di mezzi a motore grandi e piccoli che normalmente non sarebbero autorizzati ad occupare anche questo spazio. Si arriva fino a punte estreme come quella di giovedì 12 giugno 2014 quando, tornando a casa dal lavoro, sono rimasto imbottigliato in un ingorgo di camion e furgoni che avevano imboccato la pista ciclabile in entrambe le direzioni in barba al regolamento. In bicicletta ho faticato a superare quel groviglio di mezzi. Gli altri giorni la situazione può sembrare meno critica ma non meno fastidiosa e pericolosa per chi si sposta quotidianamente a piedi e in bicicletta su quella strada che dovrebbe essere “riservata alla trazione umana”. Spesso ci sono automobili parcheggiate ad invadere la pista, scooter che ti sfrecciano vicino a 60 all’ora, operai che sbucano dall’angolo cieco di una bancarella trasportando oggetti ingombranti.
Chi mi conosce sa già che non sono un grande sostenitore delle piste ciclabili in sede propria. Preferisco viaggiare sul tracciato naturale per ogni veicolo meccanico: la strada. Per chi come me deve percorrere quotidianamente lunghe distanze dall’abitazione al luogo di lavoro la ciclabile del Tevere è l’equivalente di una superstrada. Un tracciato quasi sempre dritto e quasi senza interruzioni o incroci. Non una strada per correre veloci ma per potersi spostare in condizioni di maggiore sicurezza e in tempi ragionevoli su lunghe distanze. Prima di iniziare a frequentare abitualmente la banchina del Tevere attraversavo le strade del centro per andare a prendere il treno a Piramide o buttarmi nella ciclabile della Cristoforo Colombo per arrivare fino all’Eur. I maggiori pericoli li ho sempre sperimentati agli incroci e negli attraversamenti (proprio quelli che sono quasi del tutto assenti sulla ciclabile Tevere). Così sono diventato un assiduo frequentatore della più importante dorsale ciclo-pedonale della Capitale.
Ieri sera mi sono reso conto che i ciclisti urbani di Roma non possono e non devono più rinunciare ad un così importante asse di scorrimento né a causa del maltempo e dell’incuria di chi ci amministra né per l’arrogante presenza di un mercatino estivo.
Vorrei capire quanto incassino ogni anno il Comune e la Regione dai commercianti che installano le proprie bancarelle sul Tevere e come questi soldi vengano destinati. Non credo che la banchina del fiume sia concessa a titolo gratuito a chi svolge attività commerciali. Sarebbe naturale che quei soldi venissero destinati ad opere di costante manutenzione di quel bene prezioso ma forse in parte potrebbero essere utilizzati per un progetto ancora più interessante. Ad alcuni questa mia proposta potrebbe sembrare una follia ma seguite il mio ragionamento. La banchina del Tevere appartiene essenzialmente a chi si sposta a piedi ed in bici. Tutti gli altri usi sono un’eccezione ed una “gentile concessione”. Sembra sia impossibile garantirne un accesso esclusivo ed affidabile ai legittimi utenti per 365 giorni all’anno. Evitare le piene del Tevere non è impossibile ma sarebbe economicamente troppo oneroso. Spostare le bancarelle sull’altra riva o in un altro spazio sembra quasi impossibile, troppi interessi in ballo. Allora mettiamo da parte alcuni dei fondi che ogni anno vengono incassati dalla manifestazione commerciale gentilmente ospitata e mal tollerata. Destiniamo questi soldi alla realizzazione di una corsia ciclabile per ogni direzione del lungotevere sopra i muraglioni, una sul lato destro ed una sul lato sinistro. Riportiamo la bicicletta nel suo habitat naturale, la strada, dedicandole uno spazio definito da una segnaletica leggera ma ben evidente (due righe e un simbolo sull’asfalto). Con una corsia in ogni direzione di marcia del lungotevere non si andrà a togliere molto spazio agli altri mezzi e si chiarirà una volta per tutte che anche il lungotevere è una strada urbana e non un’arteria autostradale dove potersi lanciare a 100 chilometri orari, che non ci si possono far parcheggiare né transitare i pullman turistici, che non vi si deve più tollerare alcuna forma di sosta irregolare, che gli attraversamenti pedonali devono essere rispettati. Su questa nuova strada ciclabile andrà garantita la sicurezza per chi si sposta in bicicletta anche nell’attraversamento dei molteplici incroci. Esistono molti metodi economici per implementarla e quello che i tecnici comunali dovrebbero fare è semplicemente copiare dalle città dove è già stato realizzato e funziona. Disegnare queste due corsie ciclabili non significa eliminare la pista sulla banchina del Tevere che anzi deve continuare ad esistere ed essere fruibile compatibilmente con tutti i problemi che ho citato più su. Piuttosto significa garantire la dignità ed il diritto ad una mobilità efficiente e sicura ai tanti che ogni giorno decidono di non utilizzare mezzi ingombranti, inquinanti ed intrinsecamente pericolosi per spostarsi. Un progetto di questo genere sarebbe finalmente il segnale che Roma vuole diventare una vera capitale europea partendo da piccole opere estremamente economiche ma con ricadute positive enormi.
Per i ciclisti urbani impegnarsi in una richiesta di questo genere significa annunciare che siamo stanchi di ricevere solo le briciole dalle politiche di viabilità della Capitale ma che pretendiamo ciò che ci spetta di diritto, pretendiamo il pane e le rose.
Commenti disabilitati su Un’idea folle: riprendiamoci le strade
Ieri sono andato a letto presto per recuperare la stanchezza di una giornata molto impegnativa. Alle 22:30 o giù di lì mi sono risvegliato improvvisamente sconvolto da un brutto sogno. C’era una festa con tanti amici, gli amici che ho conosciuto grazie ad una sola semplice scelta che ho fatto più di 6 anni fa. C’era una pessima notizia che arrivava all’improvviso a strappare l’armonia. Un’altra morte sulle strade di Roma, un altro volto familiare che se ne andava, un’altra vita spezzata, la vita di una persona conosciuta. Mi sveglio con la bocca impastata da una sapore amaro e, anche se mi rendo conto che era solo un sogno, una rabbia enorme mi monta dentro. Poi faccio la cosa più stupida, guardo il telefonino, guardo le ultime notifiche e vedo. Su Twitter c’è una terribile notizia dell’Ansa: CICLISTA INVESTITO DA AUTO A ROMA. MORTO.
Sono sveglio. Leggo la rabbia degli amici. Sono contento di leggerli perché così ho la conferma che sono ancora vivi. Mi assale un dolore immenso perché non si conosce il nome di questa ennesima vittima. Senza un nome, senza un volto, un altro fantasma destinato all’oblio. Ci ricordiamo i nomi e talvolta anche i volti di Eva, Giuseppina, Giacomo, Luigi, Domenico ma tanti altri non li abbiamo mai conosciuti. Non li abbiamo dimenticati. Li ricordiamo con le bici bianche legate a quel palo. Li teniamo in foto sulle nostre pagine Facebook. Reclamiamo giustizia per loro ma soprattutto reclamiamo un modello di convivenza diverso sulle nostre strade. Chiediamo città in cui spostarsi sia sicuro per tutti e non solo per chi “indossa una corazza” o si muove con l’ausilio di un motore. Portiamo avanti una battaglia civile che sappiamo giusta. Da due anni diamo vita al movimento #Salvaiciclisti. Non possiamo dire che nulla sia cambiato in questi due anni ma ogni nuova perdita aumenta la nostra sofferenza. Il problema non è se o quando vinceremo ma quale prezzo dovremo pagare prima di aver ottenuto pace sulle strade.
Ai nostri amministratori abbiamo ripetuto già molte volte cosa dovrebbero fare per cambiare lo stato delle cose. Se non lo hanno ancora capito l’unica cosa che possiamo fare la prossima volta che saremo chiamati a scegliere è di non votarli ed invitare a non votarli mai più.
A tutti gli altri, a coloro che si spostano ogni giorno in automobile, scooter, moto, camion, autobus… a tutti coloro che non sanno, non possono o non vogliono proprio fare a meno di guidare un mezzo a motore chiediamo il rispetto di ogni vita umana che incontrano lungo il proprio percorso quotidiano. Chiediamo di non superare i limiti di velocità, di non parcheggiare in doppia fila, sulle strisce pedonali, sul marciapiedi o agli angoli degli incroci, di attendere il verde al semaforo senza superare la linea di fermata, di non mettersi alla guida quando hanno sonno, hanno bevuto o fumato, hanno assunto psicofarmaci. A tutti chiediamo di sentirsi sempre responsabili delle proprie azioni e di guidare con estrema prudenza in qualsiasi contesto. Sembrano richieste banali ma sono tanti di questi piccoli comportamenti che ogni giorno strappano altre vite umane in una guerra senza confini.
Ieri c’era il blocco del traffico a Roma o meglio avrebbe dovuto esserci il blocco dei veicoli inquinanti ma io non me ne sono reso conto. Ho attraversato la città in bicicletta da Monti al Raccordo, andata e ritorno. Ovunque ho incontrato autoveicoli che circolavano nonostante fosse apparentemente vietato. Sono sempre più convinto che questi provvedimenti siano inutili. I finti blocchi domenicali servono solo a lavare le coscienze dei nostri amministratori in attesa che torni la pioggia. Poi lunedì ricomincia la solita routine. Intanto ieri è morto un altro cittadino che si spostava in bicicletta. Ieri era una “domenica ecologica”, un altro giorno di guerra sulle strade.
Perlomeno può fare a meno dell’automobile di proprietà individuale?
L’immaginario costruito dalla pubblicità attorno all’automobile è un vero e proprio culto. In quanto culto prevede il rispetto di diversi dogmi:
l’automobile ti rende libero;
l’automobile ti porta da A a B sempre in un tempo brevissimo e senza intralci;
l’automobile ti rende socialmente accettabile;
l’automobile ti rende sessualmente interessante;
l’automobile non inquina poi tanto;
l’automobile è silenziosa;
l’automobile ti fa risparmiare tempo e denaro.
Queste affermazioni sono state costruite e vengono alimentate come dogmi di fede da una martellante campagna pubblicitaria. In ogni stacco televisivo vengono mandati in onda almeno tre spot che descrivono in maniera molto convincente svariati modelli di vetture proprio con le caratteristiche sopra citate. A questo lavaggio del cervello si affiancano una miriade di richiami nel mondo cine televisivo a partire dalla Batmobile, passando per la Ford GranTorino di Starsky & Hutch o la supercar KITT, gli inseguimenti mozzafiato di una valanga di film d’azione o i lunghi viaggi in solitaria nelle sterminate lande nordamericane, fino ad arrivare ai criminali belli e simpatici di Fast and furious. Tutti questi esempi di uso dell’automobile rispondono ad un identikit: una sola persona a bordo (il guidatore) con al massimo un passeggero, una guida “disinvolta e sportiva”, il parcheggio un po’ dove capita, un atteggiamento aggressivo verso chiunque o qualunque cosa si identifichi come ostacolo lungo il percorso.
L’automobile individuale è un mezzo dannoso in sé proprio in quanto individuale e lo è anche e soprattutto nel suo uso “normale”. Per milioni di persone un uso normale dell’automobile in una città standard è il seguente:
uscire ogni mattina di casa e salire in completa solitudine nell’auto parcheggiata non importa come e dove ma proprio sotto casa;
coprire una distanza media di 7 km per recarsi al lavoro incontrando frequenti ingorghi lungo il percorso che dilatano i tempi di spostamento;
lottare strenuamente per frenare gli istinti primordiali che spingono anche l’automobilista più sereno a travolgere qualsiasi cosa animata o inanimata possa costituire un ostacolo al poter scalare dalla seconda alla terza tra un semaforo e l’altro;
cercare parcheggio per svariati minuti per poi arrendersi e abbandonare il mezzo in doppia fila o sul marciapiedi o sull’attraversamento pedonale o, se proprio va bene, sulla pista ciclabile…;
uscire la sera dal lavoro ed affrontare i soliti ingorghi per recarsi in completa solitudine in palestra per recuperare un minimo di tono muscolare e smaltire il grasso in eccesso dopo aver passato un giorno intero seduti su comode poltrone;
tornare alla propria dimora facendo magari una breve sosta in doppia fila proprio davanti al supermercato sotto casa per comprare un litro di latte.
Quest’uso “normale” potrebbe anche essere complicato dalla necessità di accompagnare a scuola uno o più figli ma nella maggior parte dei casi si tratta solo di una scusa dato che la destinazione in cui depositare i pargoli dista dall’abitazione non più di mezz’ora a piedi. Viviamo nella convinzione che sia molto più sicuro portare i bambini a scuola in macchina ma non ci sfiora nemmeno il pensiero che potrebbero andarci in autobus, in bicicletta o addirittura a piedi percorrendo strade finalmente liberate da tutte le auto dei genitori accompagnatori.
Si potrebbe affermare che l’automobile però ha anche tanti utilizzi corretti e positivi ma in quei casi non si tratta di un’automobile individuale: autoambulanze, taxi, car sharing, veicoli delle forze dell’ordine. Tolte queste categorie la stragrande maggioranza delle automobili che occupano abusivamente le nostre strade sono individuali. Si potrebbe anche affermare che l’automobile individuale potrebbe essere usata in maniera efficiente e corretta: sempre con più di un passeggero a bordo, con una guida serena e rispettosa del codice della strada, solo su tragitti lunghi, come mezzo per trasportare oggetti pesanti ed ingombranti. Purtroppo non è così, non è questo l’utilizzo “normale” dell’automobile che siamo abituati a vedere nelle nostre città. Non è solo l’abuso a rendere l’automobile individuale dannosa ma il fatto che siano tante singole persone ad utilizzarla in questo modo. I danni che provoca sulle nostre vite sono sotto gli occhi di tutti. Nelle grandi città sono sempre più rari i giorni in cui i dati della qualità dell’aria scendono sotto i livelli di insalubrità. Il rumore di fondo con cui siamo costretti a convivere giorno e notte è quello dei motori a scoppio. Oltre alle svariate forme di inquinamento i danni dell’automobile individuale si manifestano con pesanti ricadute sui rapporti sociali tra le persone, sulla vivibilità delle città, sulla salute fisica e mentale dei cittadini, sul futuro dei bambini, sui costi sanitari che lo Stato deve sostenere e più in generale sulla qualità della vita di ognuno di noi. Qualsiasi misura adottata finora con l’apparente intenzione di scoraggiare l’abuso dell’automobile individuale si è rivelata inefficace o svantaggiosa solo per alcune classi sociali. Inutile creare zone a traffico limitato o con ingresso a pagamento se poi i soldi recuperati dalle amministrazioni non vengono utilizzati per potenziare il trasporto pubblico o rendere la vita più facile a pedoni e ciclisti. Inutile pedonalizzare un’area se poi si creano decine di eccezioni che consentono ai mezzi a motore di invaderla ugualmente. Inutile creare marciapiedi e attraversamenti pedonali se poi questi non vengono rispettati; meglio abolirli e consentire ai pedoni di camminare dovunque in modo che tutti siano costretti a rallentare e prestare maggiore attenzione.
A parer mio la realizzazione di una mobilità nuova passa inevitabilmente attraverso l’estinzione dell’automobile individuale ed è per questo che il 4 maggio 2013 andrò a Milano a manifestare.
Ringrazio Fabio D Sensi per avermi concesso l’uso dell’immagine da lui realizzata.