Un’idea folle: riprendiamoci le strade

Sono giunto ormai alla ferma convinzione che la convivenza tra i cittadini che si spostano in bicicletta e le bancarelle dell’Estate romana sia impossibile.

E’ quasi un anno che percorro più volte durante la settimana la pista ciclabile del Tevere da Castel Sant’Angelo a Ponte Sublicio ed anche oltre. Ho sperimentato le difficoltà del periodo invernale quando la banchina che ospita la pista è quasi sempre impraticabile perché sommersa d’acqua oppure per via del fango e dei detriti lasciati dalle piene.

Poi è arrivato maggio ed è iniziato l’allestimento delle bancarelle. Gradualmente sulla banchina del Tevere è nato un mercatino ed è aumentato il via vai di mezzi a motore grandi e piccoli che normalmente non sarebbero autorizzati ad occupare anche questo spazio. Si arriva fino a punte estreme come quella di giovedì 12 giugno 2014 quando, tornando a casa dal lavoro, sono rimasto imbottigliato in un ingorgo di camion e furgoni che avevano imboccato la pista ciclabile in entrambe le direzioni in barba al regolamento. 2014-06-12 17.41.50In bicicletta ho faticato a superare quel groviglio di mezzi. Gli altri giorni la situazione può sembrare meno critica ma non meno fastidiosa e pericolosa per chi si sposta quotidianamente a piedi e in bicicletta su quella strada che dovrebbe essere “riservata alla trazione umana”. Spesso ci sono automobili parcheggiate ad invadere la pista, scooter che ti sfrecciano vicino a 60 all’ora, operai che sbucano dall’angolo cieco di una bancarella trasportando oggetti ingombranti.

Chi mi conosce sa già che non sono un grande sostenitore delle piste ciclabili in sede propria. Preferisco viaggiare sul tracciato naturale per ogni veicolo meccanico: la strada. Per chi come me deve percorrere quotidianamente lunghe distanze dall’abitazione al luogo di lavoro la ciclabile del Tevere è l’equivalente di una superstrada. Un tracciato quasi sempre dritto e quasi senza interruzioni o incroci. Non una strada per correre veloci ma per potersi spostare in condizioni di maggiore sicurezza e in tempi ragionevoli su lunghe distanze. Prima di iniziare a frequentare abitualmente la banchina del Tevere attraversavo le strade del centro per andare a prendere il treno a Piramide o buttarmi nella ciclabile della Cristoforo Colombo per arrivare fino all’Eur. I maggiori pericoli li ho sempre sperimentati agli incroci e negli attraversamenti (proprio quelli che sono quasi del tutto assenti sulla ciclabile Tevere). Così sono diventato un assiduo frequentatore della più importante dorsale ciclo-pedonale della Capitale.

Ieri sera mi sono reso conto che i ciclisti urbani di Roma non possono e non devono più rinunciare ad un così importante asse di scorrimento né a causa del maltempo e dell’incuria di chi ci amministra né per l’arrogante presenza di un mercatino estivo.

Vorrei capire quanto incassino ogni anno il Comune e la Regione dai commercianti che installano le proprie bancarelle sul Tevere e come questi soldi vengano destinati. Non credo che la banchina del fiume sia concessa a titolo gratuito a chi svolge attività commerciali. Sarebbe naturale che quei soldi venissero destinati ad opere di costante manutenzione di quel bene prezioso ma forse in parte potrebbero essere utilizzati per un progetto ancora più interessante. Ad alcuni questa mia proposta potrebbe sembrare una follia ma seguite il mio ragionamento. La banchina del Tevere appartiene essenzialmente a chi si sposta a piedi ed in bici. Tutti gli altri usi sono un’eccezione ed una “gentile concessione”. Sembra sia impossibile garantirne un accesso esclusivo ed affidabile ai legittimi utenti per 365 giorni all’anno. Evitare le piene del Tevere non è impossibile ma sarebbe economicamente troppo oneroso. Spostare le bancarelle sull’altra riva o in un altro spazio sembra quasi impossibile, troppi interessi in ballo. Allora mettiamo da parte alcuni dei fondi che ogni anno vengono incassati dalla manifestazione commerciale gentilmente ospitata e mal tollerata. Destiniamo questi soldi alla realizzazione di una corsia ciclabile per ogni direzione del lungotevere sopra i muraglioni, una sul lato destro ed una sul lato sinistro. Riportiamo la bicicletta nel suo habitat naturale, la strada, dedicandole uno spazio definito da una segnaletica leggera ma ben evidente (due righe e un simbolo sull’asfalto). Con una corsia in ogni direzione di marcia del lungotevere non si andrà a togliere molto spazio agli altri mezzi e si chiarirà una volta per tutte che anche il lungotevere è una strada urbana e non un’arteria autostradale dove potersi lanciare a 100 chilometri orari, che non ci si possono far parcheggiare né transitare i pullman turistici, che non vi si deve più tollerare alcuna forma di sosta irregolare, che gli attraversamenti pedonali devono essere rispettati. Su questa nuova strada ciclabile andrà garantita la sicurezza per chi si sposta in bicicletta anche nell’attraversamento dei molteplici incroci. Esistono molti metodi economici per implementarla e quello che i tecnici comunali dovrebbero fare è semplicemente copiare dalle città dove è già stato realizzato e funziona. Disegnare queste due corsie ciclabili non significa eliminare la pista sulla banchina del Tevere che anzi deve continuare ad esistere ed essere fruibile compatibilmente con tutti i problemi che ho citato più su. Piuttosto significa garantire la dignità ed il diritto ad una mobilità efficiente e sicura ai tanti che ogni giorno decidono di non utilizzare mezzi ingombranti, inquinanti ed intrinsecamente pericolosi per spostarsi. Un progetto di questo genere sarebbe finalmente il segnale che Roma vuole diventare una vera capitale europea partendo da piccole opere estremamente economiche ma con ricadute positive enormi.

Per i ciclisti urbani impegnarsi in una richiesta di questo genere significa annunciare che siamo stanchi di ricevere solo le briciole dalle politiche di viabilità della Capitale ma che pretendiamo ciò che ci spetta di diritto, pretendiamo il pane e le rose.